Lezione di Strategia

Prof. Joe Anshi

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    Aprii il tomo di Strategia, quasi sonnecchiando. Il profumo delle pagine nuove, ricopiate interamente a mano, mi arrivò subito dopo, forse ampliato a causa delle mie percezioni da drago: anche se in quel momento tutto si poteva dire, tranne che potessi sembrare uno spaventoso guerriero, men che meno che potessi addirittura celare l'identità di un drago, dentro di me. Ero arrivato in ritardo quella mattina: mi ero svegliato tardi (o meglio, non mi ero svegliato affatto), e ancora in quel momento non riuscivo a trovare un'espressione che non paresse quella di un povero malato sul punto di addormentarmi. La causa? Non avevo quasi dormito la notte precedente, preso dall'ametista che stavo intagliando: era venuta a forma di goccia, e avevo deciso di restare qualche minuto in più alzato, per vedere come sarebbe venuta fuori alla fine. Solo che i minuti si erano trasformati in ore: avevo perso letteralmente la cognizione del tempo, cosa che mi succedeva sempre, quando mi dedicavo anima e corpo a un progetto a cui tenevo tantissimo. E quell'ametista era uno dei miei lavori migliori: peccato che però probabilmente avrei dovuto rinunciare a lavorarci per qualche giorno, dato che probabilmente sarei stato sonnolento per un altro bel po' di tempo. Ero riuscito a fermarmi soltanto quando il coltello mi era scivolato di mano, finendo per aprirmi una spaccatura sul polso dell'altro braccio: al chè avevo subito smesso e fasciato la ferita, cercando di svuotare la mente da ogni pensiero. Non era infatti quella il problema: si sarebbe rimarginata in fretta. La cosa che temevo di più era che quel sangue potesse risvegliare la mia parte dragonesca... Infatti, a causa della mia natura mezzosangue, per me era più difficile trasformarmi: ma negli anni in cui ero stato in giro a vagabondare, mentre mia madre cercava di tenermi lontano dalla vita che era stata scelta per me, e successivamente nei mesi passati nelle segrete del palazzo, mio padre aveva messo a punto un sistema per trasformarmi velocemente; bastava che mi procurassi una ferita sulla mano o sul braccio, e pensassi all'obiettivo da raggiungere abbastanza forte da poter innescare la trasformazione. Trovavo quel metodo ripugnante, e solo dopo un lungo rito, di cui ricordavo poco o niente, ero riuscito a trasformarmi per la prima volta usando le istruzioni di mio padre. E da quando ero fuggito, avevo paura di potermi trasformare nuovamente: non sapevo perchè, ma sentivo che se fosse successo di nuovo, avrei perso conoscenza di me. Come mi succedeva tutte le volte... Non ero propriamente io quando mi trasformavo: una parte di me era cosciente, e cercava in tutti i modi di sfuggire all'incubo che si impadroniva di me ogni volta; ma gran parte del mio animo risiedeva nella sonnolenza, come se qualcuno mi avesse soggiogato, e combatevvo affidnandomi soltanto al mio istinto. Non avevo mai potuto trasformarmi per solcare i cieli, o semplicemente perchè mi trovavo bene in quella forma; avevo imparato a considerare quel mio dono come una condanna, e più di una volta avevo desiderato essere un ragazzo normale, senza un fardello da portarmi dietro. Le voci di coloro che avevo ucciso continuavano a farmi visita: e non riuscivo a liberarmene... Anche in quel momento, la stanchezza di poco prima era passato, per lasciare il posto al terrore più profondo: mi ritrovavo sulla volta di un baratro, e bastava poco per caderci dentro e perdere conoscenza. Sul fondo, c'erano loro... Le facce urlanti dei miei incubi. Mi ritrassi spaventato, solo per vedere colui che odiavo di più al mondo. Dietro di me, sulla parte di terreno stabile, c'era mio padre: vecchio e severo come lo ricordavo, mi guardava come se avessi commesso il peccato più grave esistente a quel mondo. - Ti perdono, figlio mio... - disse, tendendomi una mano, - soltanto se accetterai di servirmi come qualche anno fa, e non proverai più a scappare. Per la tua incoscienza io sono morto. - aggiunse. - No.. - risposi semplicemente: non avrei mai accettato di tornare a quella volta, non adesso che avevo assaggiato la libertà, e l'occasione di condurre una vita libera da ogni impegno mi si profilava davanti. Mio padre fece un ghigno strano: poi si mise a ridere sguaiatamente, come se avesse perso la ragione del tutto, e si trasformò in un drago rosso; quello... Ero io. - Allora muori. - sibilò, e con una zampata mi ferì il petto: per un attimo credetti che il dolore che sentivo fosse reale, e non riuscii a fare niente.Feci qualche passo indietro, e subito sentii il vuoto sotto di me: non sapevo se quello fosse un sogno oppure o no, ma la paura e il dolore che provavo erano certamente veri. Le voci si erano fatte incessanti, i volti che vedevo adesso sorridevano trionfi: avevano ottenuto la loro vendetta. - Signor Akindymos! -. Una voce mi riportò alla realtà: la prima cosa che notai fu il freddo pavimento della stanza che premeva contro la mia guancia, poi la sedia sul quale ero seduto poco prima, rovesciata, e infine, gli sguardi allibiti dei miei compagni. Mi rialzai lentamente, rendendomi conto di quel che era successo: avevo perso conoscenza, e soltanto quando ero cascato a terra anche gli altri se n'erano accorti. Non mi ero addormentato: probabilmente ero svenuto, il che spiegava le energie che sentivo mancare e il sordo pulsare della mia testa, che fino a poco fa non c'era. - State meglio adesso, signor Akindymos? Siete caduto a terra, e per un attimo ho pensato fosse per via della noiosità della mia lezione... Eppure siete pallido come un fantasma! Forse è meglio se vi recate in Infermeria e vi fate visitare. - aggiunse. Feci un po' fatica a capire le sue parole, ma quando ci riuscii feci segno di diniego con la testa: non avevo bisogno che qualcuno mi diagnosticasse i miei problemi, quando sapevo benissimo che cosa mi succedeva. - Sto benissimo, professore. Soltanto un calo di pressione. - dissi, notando che un lieve tremolio tradiva la mia voce: ma in quel momento non m'importava, e mi dissi che seguire la lezione mi avrebbe fatto sicuramente meglio che passare la mattinata in Infermeria. Il professor, un giovane uomo sulla quarantina, alto e allampanato, con dei lunghi capelli rosso spento legati in una coda e degli occhiali che gli coprivano l'intero volto, mi guardò con aria poco convinta. - Come preferite... Allora prendete una penna e una pergamena e ricopiate gli appunti sulla lavagna. Quindi, come stavo dicendo, la tattica migliore per attaccare di sorpresa un accampamento di 200 o meno soldati, situati su un terreno brullo... - cominciò a spiegare il professore, e per qualche secondo rovistai nella mia borsa: riuscii a recuperare la pergamena e la boccetta d'inchiostro, ma di penne nemmeno l'ombra. - Non ci credo.. L'ho lasciata in stanza... - mi dissi, sbuffando: avrei dovuto aspettare la fine delle due ore di lezione per poter tornare nella mia stanza e recuperarne una. Mi guardai velocemente intorno, in cerca di qualche altro mio compagno: notai, seduta nel banco accanto al mio, una ragazza dai lunghi capelli biondi, con i capelli intrecciati con dei nastri colorati, e dei capelli così lunghi che non passavano di certo inosservati. Le toccai una spalla, per attirare la sua attenzione: quando lei posò gli occhi su di me, però, ne rimasi folgorato. Di un colore ametista più unico che raro, erano della stessa tonalità della pietra che stavo intagliando, nascosta in camera mia: mi chiesi se fosse stato un caso, e mi risposi che, sicuramente lo era stato. Non avevo mai incontrato nessuno con degli occhi così intensi: ero sempre stato che i miei, di un verde acqua misto all'azzurro, fossero troppo appariscenti, soprattutto se considerati insieme ai capelli neri. Eppure quella ragazza mi batteva senza dubbi. Tutt'a un tratto mi ricordai del motivo per cui l'avevo chiamata, e distolsi lo sguardo dai suoi occhi, per portarlo sulla figura del professore che stava spiegando, tracciando di tanto in tanto qualche parola sulla lavagna. - Scusami, ma per caso hai una penna in più? Ho dimenticato la mia stamattina... - sussurrai, per non farmi sentire dal prof. Anshi. Per un po' tornai ad ascoltare la lezione dell'uomo: ma i concetti mi entravano da un orecchio e mi uscivano dall'altro. Poi, la curiosità vinse sulla fredda corazza che mi ero costruito, o che forse avevo sempre avuto; - Come ti chiami? Il mio nome è Brisingr. - aggiunsi, senza staccare gli occhi dalla lavagna, e memorizzando gli appunti come meglio riuscivo, in attesa della penna che forse la compagna avrebbe potuto prestarmi.

     
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    I primi giorni in accademia li passai letteralmente in camera mia.
    Anzi, a dire la verità li passai a letto!
    Il mio stomaco mi svegliava soltanto quando era ora di mangiare, ma per il resto non feci che dormire tutto il tempo.
    Avevo parecchio sonno da recuperare…
    In quella locanda difficilmente riuscivo a chiudere occhio la notte.
    Vuoi per il materasso pieno di bitorzoli, vuoi per la rete cigolante e per la porta che non si chiudeva bene le notte le passavo quasi completamente sveglia; poi pisolavo di giorno e questo era il motivo per cui alla locanda non mi avevano mai visto troppo fuori dalla mia camera!
    Ma da quando avevo messo piede all'accademia chissà perché mi sentivo decisamente più sicura, e il letto era il più grande e comodo in cui avevo mai dormito in tutta la mia vita.
    Ogni tanto nel dormiveglia sentivo le voci di qualcuno che veniva a controllare se stavo bene.
    Una volta qualcuno, che poi mi presentarono come il medico, rassicurò gli altri presenti dicendo loro che ero solo molto stanca.
    Quanti giorni passai così non lo saprei dire, finché un giorno dopo pranzo non mi riaddormentai più!
    Rimasi svegliai tutto il pomeriggio, uscii a fare quattro passi in giardino e la sera andai a mangiare in mensa. Il giorno dopo avrei cominciato con le lezioni il tempo dell’ozio era finito!
    La mattina seguente mi alzai di buon ora, fresca e riposata.
    La sera precedente avevo già trovato quello che mi serviva e così, dopo aver perso più tempo a sistemarmi ci capelli che a vestirmi, uscii.
    In mensa me la presi con calma, ero una delle prime ad arrivare ed anche una delle prime ad andarmene..
    Non avevo ancora studiato bene la piantina della scuola e così persi il tempo che avevo guadagnato alzandomi presto, nella ricerca dell'aula.
    Mi sedetti in un banco a caso e cominciai a sfogliare il libro senza fare troppa attenzione a chi entrava e si sedeva accanto a me.
    Strategia non era esattamente la mia materia preferita....chissà poi perché visto che non l'avevo mai fatta... ma qualcosa mi diceva che avrei avuto bisogno di qualche ripetizione in merito...
    (Chissà se i professori danno ripetizioni?)
    E man mano che il professore proseguiva nella sua spiegazione il mio dubbio divenne una certezza!
    (O forse devo rivolgermi a qualche compagno?
    Ma chi?)

    pensavo mentre cercavo di concentrarmi sugli appunti che stavo trascrivendo.
    Magari più avanti... ma adesso che non conosco nessuno...
    Dovevo rassegnarmi a prendere un pessimo voto in Strategia!
    Misi il punto alla frase e sussultai al rumore improvviso al mio fianco.
    Il ragazzo seduto accanto a me era crollato a terra come un sacco di patate.
    Per fortuna però non sembrava niente di grave, rifiutò anche di andare in infermeria affermando che era un semplice calo pressorio.
    Quando la situazione tornò alla normalità riportai la mia attenzione sugli appunti, non ci capivo assolutamente niente ma dovevo impegnarmi al massimo.
    Ero talmente concentrata che non mi accorsi subito che qualcuno stava richiamando la mia attenzione.
    Quando me ne accorsi decisi di ignorarlo, già ci capivo poco, se poi mi mettevo anche a chiacchierare...
    Quando mi sentii picchiettare sulla spalla però non potei più fare finta di non sentire e mi voltai.
    Si trattava del mio compagno di banco, quello che era caduto, che mi chiedeva una penna in prestito.
    Rimasi perplessa alla sua richiesta, come si faceva a venire a lezione senza una penna?
    Guardai il suo banco, il libro, la pergamena, la boccetta d'inchiostro, l'astuccio aperto...
    molto probabilmente si era dimenticato di rimetterla via dopo aver fatto i compiti, o qualsiasi altra cosa, e l'aveva lasciata in camera.
    Stavo già per scrollare la testa in segno di diniego quando mi ricordai una cosa.
    Portai le mani alla testa e tirai fuori quello che poteva essere un decoro per capelli, lasciando che alcune ciocche cadessero di nuovo ai lati del viso.
    «E' una penna....»
    dissi togliendo il cappuccio e rivelando il pennino.
    «E' l'unica che ho...»
    dissi quasi a scusarmi.
    Certo potevo dargli la mia piuma fucsia che, nonostante il colore, era meno appariscente di quella con la rosa e i nastrini... ma chissà perché mi sembrava troppo delicata e sottile per le mani del ragazzo.
    L'appoggiai sul suo banco e tornai a rileggermi gli appunti pero poi essere di nuovo distratta dalla sua voce.
    Mi voltai e lo vidi con lo sguardo fisso sulla lavagna e pensai di essermelo quasi immaginato.
    Lo sguardo mi cadde su un pacchetto di cracker che spuntava dall'astuccio, lo presi e ci scrissi sopra, in bella grafia, il mio nome Sibilla.
    «Dopo un calo pressorio dovresti mangiare salato...»
    dissi spingendo il pacchetto verso una sua mano mentre anch'io tenevo lo sguardo fisso alla lavagna.



    Edited by .:Kym:. - 26/5/2014, 18:14
     
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    Proprio quando ormai cominciavo a pensare che la ragazza non mi avrebbe risposto, e mi stavo già ingegnando a ripetere le nozioni scritte alla lavagna per ricordarle megio, lei si portò una mano al capo: quello che dapprima mi era sembrato un fermaglio per capelli, in realtà celava un pennino al suo interno: mentre la ragazza me lo passava , le sussurrai un - Grazie. - riconoscente, anche se un po' mi sentivo in colpa: le avevo rovinato la pettinatura a causa della mia sbadataggine. Ma non ci avevo proprio pensato: di solito controllavo sempre di avere tutto con me, prima di uscire dalla mia stanza e dirigermi a lezione, ma quella mattina avevo avuto giusto il tempo di prepararmi; era già una fortuna che mi fossi ricordato di prendere i libri di quella mattina, o avrei passato l'intera lezione senza neanche seguire l'argomento che il professore stava spiegando. Mentre la ragazza tornava a prendere appunti, mi presi qualche minuto per ammirare la penna: l'estremità era un fiore rosa, pieno di petali in stoffa: pareva proprio un fermaglio, ma la punta in acciaio che sbucava dal "gambo" del fermaglio faceva intuire che lo si poteva usare anche per scrivere. Dei nastrini, di una tonalità poco più chiara di quella dei petali, adornava la parte sotto il fiore. Nel complesso, era un oggetto raffinato, decisamente troppo: io ero abituato a usare le piume o la stilografica, quando dovevo scrivere, e non pensavo che una molletta piena di fregi e decorazioni come quella potesse rivelarsi utile. Eppure il pennino non mentiva: quando immersi la punta nella boccetta d'inchiostro, dovetti affrettarmi a posare il fermaglio sul foglio, o avrei macchiato l'intero banco di nero; funzionava proprio come le vere penne, se non meglio. Riportai lo sguardo sulla lavagna, cercando di decifrare la grafia intricata del professore: quando ci riuscii, però, mi resi conto che quelle erano tutte cose che sapevo già. Mi ero indaffarato tanto per niente: ma non faceva mai male ripassare le vecchie nozioni, e sebbene avessi preso parte a numerose strategie e dato consigli su parecchie altre, non ne avevo mai elaborata una con il mio ingegno: quindi non potevo permettermi di rilassarmi molto, e anzi, forse proprio a causa di ciò che sapevo, dovevo studiare più degli altri. Mi accorsi con un certo ritardo di qualcosa che strisciava sul banco, e poi mi sfiorava la mano. Succedeva sempre così: quando una cosa mi prendeva e mi impegnavo per restare concentrato su quell'obiettivo, mi dimenticavo di tutto il resto; avrei dovuto migliorare quel mio lato, perchè in battaglia sarebbe potuto rivelarsi fatale. - Dopo un calo pressorio dovresti mangiare salato...- la voce della ragazza mi riportò alla realtà: quando mi girai verso di lei notai che aveva già spostato lo sguardo sulla lavagna, quindi mi dedicai ad osservare l'oggetto che mi aveva appena passato. Era un piccolo pacchetto di cracker: notai però che sulla confezione vi era una scritta che stonava con il logo, data la grafia diversa, minuta; Sibilla, recitavano le parole sulla carta. Mi chiesi il perchè di quel gesto: voleva soltanto rispondere alla mia domanda o si preoccpava per me? Fissai la ragazza un po' sorpreso, poi cominciai a scartare il pacchetto - senza farmi vedere dal professore, dato che era vietato mangiare durante le ore di lezione -, e spezzai il cracker in più punti, così da passare inosservato. Anche se non pensavo che il professore avesse fatto tante storie, se mi avesse visto: in fondo, ero appena svenuto, no? - Grazie, Sibilla. - le risposi, cercando di incontrare nuovamente il suo sguardo e rivolgendole a stento un sorriso; avevo dimenticato come si facesse, e ciò che apparve sul mio volto fu più una smorfia strana, che non assomigliava quasi per niente a un sorriso vero e proprio. Eppure ero riconoscente a quella ragazza: mi aveva appena prestato una penna e, anche se forse era solo una mia impressione, si era appena preoccupata per le mie condizioni. Addentai un pezzo di cracker, e dovetti riconoscere che mi sentii subito meglio: gli ultimi residui di stanchezza sparirono, e concentrarmi sulla lezione fu più facile. Riuscii soltanto a mangiare il primo pezzo, però, prima che il professore interrompesse la lezione battendo le mani: a volte non capivo proprio quell'uomo, dato che si comportava spesso come un ragazzino vivace. - Bene, la lezione termina qui! Come mai, dite? Manca più di mezz'ora! Ma perchè oggi, cari i miei alunni, ho deciso di fare una prova a sorpresa! - disse, voltandosi e prendendo una manciata di fogli da una delle tante borse che aveva sulla cattedra. - Gli argomenti saranno quelli dell'altra volta: non ci sarà nulla di ciò che ho spiegato oggi... A parte una domandina o due, chissà! -. Un coro di proteste si levò dall'aula, a quelle parole: quasi nessuno stava attento durante le lezioni, e tutti recuperavano studiando insieme a un compagno nelle ore libere. Questo perchè, molto spesso, il professore se ne usciva con strani ragionamenti e, sebbene seguisse il voluminoso tomo che tutti gli studenti si portavano dietro, lui spiegava in una maniera totalmente differente, aggiungendo nozioni e dettagli che sul libro non c'erano: per quello era importante avere gli appunti degli argomenti da lui spiegati, o nei compiti non si riusciva a farla franca. - Mi raccomando, non copiate e soprattutto non preoccupatevi: non lo conterò come un vero compito, dato che per quello avrei dovuto darvi un'ora intera! E come potete vedere, è molto corto, anche se non semplice. Buona fortuna a tutti! - disse, e quando finì di consegnare i fogli, se ne tornò canticchiando al suo posto alla cattedra, per poi prendere un libro dalla borsa e mettersi a leggere. Ogni tanto scoccava occhiate fugaci alla classe, ma non si alzava mai per controllare se qualcuno copiasse o meno. Trattenni a stento un sospiro, e guardai il foglio bianco che mi si parava davanti: quattro domande a risposta aperta, ecco in cosa consisteva. Mi passai una mano sulla fronte, come a levarmi i ciuffi da davanti gli occhi, e dopo aver letto la prima domanda, intinsi un po' la penna nella boccetta di inchiostro, mentre pensavo alla risposta. - Andiamo bene... - mi venne da pensare, - anche se avessi studiato un pomeriggio intero, ieri, non ne sarei comunque venuto a capo. -. Mi arrovellai sulla prima domanda qualche minuto: poi mi misi a scrivere, e anche se non adoperavo termini scientifici, ero sicuro che almeno buona parte della risposta fosse giusta. In fondo, non poteva andare troppo male: e notai che le altre due domande erano collegate alla prima, mentre l'ultima riguardava le strategie da adoperare in un territorio brullo, l'argomento che aveva appena spiegato. - Dannazione... Non sono stato troppo attento.. Eppure ho già combattuto in un terreno del genere... - pensai, mentre facevo affidamento per rispondere anche all'ultima domanda: stavo ancora scrivendo la prima, ma prima trovavo una risposta a tutte i quesiti, prima mi toglievo quella noia di torno. In fondo ero contento che ci fosse un compito: almeno l'ora non sarebbe stata piena dei soliti chiacchericci, e dovevo stare attento soltanto a non scrivere idiozie e a non macchiare l'intero foglio di inchiostro. Quasi senza accorgermene, lasciai il foglio un po' più alla mia destra, in modo che chi ne avesse avuto bisogno, avesse potuto facilmente copiare le risposte...

     
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    Sbirciai verso il banco del ragazzo e dovetti girarmi di nuovo alla svelta per evitare di mettermi a ridere.
    L'espressione del ragazzo che esaminava la penna che doveva usare era a dir poco spassosa.
    Guardava il pennino e poi la rosa che adornava l'altra estremità con un faccio a che era tutto un programma...
    Ma io devo usare questa cosa qua?
    sembrava chiedersi.
    Forse avrei dovuto avvertirlo che la penna, e quindi il pennino, era nuova ti fare attenzione e ti intingerlo poco nell'inchiostro per evitare macchie...
    Si dovevo avvertirlo ma prima dovevo essere sicura di non mettermi a ridere...
    Chiusi gli occhi, presi un lungo respiro e mi voltai nell'esatto memento in cui il ragazzo si rendeva conto a sue spese che la penna/rosa funzionava egregiamente!
    «Atten...»
    iniziai mentre il ragazzo lesto appoggiava la penna sul foglio.
    Scampato il pericolo di vedere una scia di macchioline nere lungo il banco tornai a voltarmi verso la lavagna per ultimare gli appunti che stavo prendendo.
    Se strategia non fosse stata una delle materie obbligatorie l’avrei volentieri evitata.
    Non potevo capire come un tipo di terreno potesse influire o meno sulla buona riuscita di una battaglia… forse c’entrava qualcosa con la presenza di alberi o arbusti ma non ne ero del tutto sicura, perché come potevano tornare utile a me potevano favorire allo stesso modo anche il mio avversario… e allora quali calcoli bisognava fare?
    Di quali variabili bisognava tenere conto?
    E se poi un colpo di vento o una pioggia improvvisa cambiavano le carte in tavola?
    Decisamente quella materia non faceva proprio per me.
    Avvertii la voce del ragazzo che mi ringraziava, voltai appena il viso e feci un cenno d’assenso con la testa.
    quando il professore annunciò la fine della lezione sospirai di sollievo… ma uno sguardo all’orologio appeso sopra la lavagna mi lasciò alquanto perplessa...
    (Come mai in anticipo?)
    pensai mentre un terribile presentimento di faceva strada nella mia mente.
    Le parole che seguirono e lo sventolare allegro di un mazzo di fogli davanti agli occhi della classe attonita, confermarono i miei peggiori sospetti
    (Gli argomenti della lezione precedete?
    Fantastico!)

    appoggiai la piuma fucsia sul banco e mi appoggiai meglio allo schienale della sedia mentre, con due dita mi massaggiavo le tempie
    «Io non c’ero...»
    dissi in un soffio mentre osservavo il foglio che era stato posato sul mio banco.
    Qualcosa mi diceva che al professore non gli importava se quella era la mia prima lezione
    «Poteva chiedere gli appunti ai suoi compagni….»
    avrebbe potuto obbiettare tranquillamente.
    (E adesso cosa mi invento?)
    pensai mentre mi guardavo attorno e riprendevo la penna con aria svogliata.
    notai che il ragazzo aveva iniziato a scrivere, ovvio che per lui doveva essere un’argomento più facile e anche decisamente più interessante che per me
    (Ma non è scomodo a scrivere così?)
    mi chiesi notando che aveva il foglio spostato da un lato, il mio lato…
    (Possibile che?)
    mi solleticai la punta del naso con la piuma, facendo finta di pensare mentre tenevo d’occhio il professore immerso nella lettura di un libro.
    Uno sguardo al foglio del compagno di banco, una veloce rielaborazione mentale per lasciare il concetto ma cambiando le parole e poi giù a scrivere; facendo qualche pausa ad effetto come per far intendere che stavo pensando….
    Continuai cosi per tutte le risposte, avendo cura di non strafare con i termini e i concetti per evitare che scoprisse, adesso o in un futuro prossimo, che avevo copiato.
    Misi il punto all’ultima frase, appoggiai la penna sul banco e mi voltai leggermente verso il compagno con un sorriso riconoscente prima di appoggiarmi di nuovo alla sedia.



    Edited by .:Kym:. - 26/5/2014, 18:16
     
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    L'ora passò abbastanza in fretta: il compito aveva portato via agli studenti tutto il resto dell'ora, e ormai il tempo era agli sgoccioli; gli ultimi minuti, ormai, venivano usati per rileggere cosa si era scritto o ripassare per l'ora. Io non feci niente: sicuramente, se avessi riletto ciò che avevo scritto, mi sarei fatto mille dubbi e avrei riscritto tutto. Anche se ero sicuro dei concetti, i termini che avevo usato non erano propriamenti tecnici, e anche se ad alcuni ci ero arrivato facendo affiddamento sulla memoria e l'ingegno, altri gli avevo scavolati del tutto. L'unica cosa che ero sicuro di aver fatto bene, sia dal punto di vista lessicale che da quello delle conoscenze, erano le ultime due domande; quelle sulla lezione di quel giorno. Ma non dovevo preoccuparmene in quel momento, dato che comunque rifletterci non avrebbe migliorato il mio voto; ero convinto di aver preso un voto più che sufficiente, ma sicuramente non ero stato il più bravo della classe. Ma quello non mi era mai interessato; avevo sempre studiato per conto mio, e avendo ricevuto un'educazione a palazzo, non mi era mai stata data l'opportunità di confontarmi con qualcun altro, e quindi mettermi a studiare di più anche solo per orgoglio personale. Per me era la prima volta che mi ritrovavo in una classe vera e propria: nonostante le lezioni fossero state stabilite in base al dormitorio di cui ognuno faceva parte, avevo comunque una classe mia, insieme a altri ragazzi e ragazze che si dilettavano, come me, nell'uso della spada. Quell'Accademia era un "riduno" di studenti che cercavano di migliorare le proprie abilità; io la vedevo più come un nascondiglio, dato il mio passato, anche se sapevo benissimo che non potevo soltanto starmene buono e aspettare che gli eventi, fuori dal territorio di Aninthea, si fossero placate. In realtà non sapevo ancora cosa avrei fatto: forse la vita all'Accademia poteva cambiarmi completamente, o soltanto fungere da intermediario per un nuovo capitolo della mia vita. A volte mi chiedevo cosa ne sarebbe stato di me: più di una notte l'avevo passata in bianco a rifletterci. Ma non era certo quello il modo di risolvere le cose: passando ore a pensare non avrei concluso nulla. In effetti, non amavo molto immergermi nei miei pensieri: molto spesso riconducevano a eventi dolorosi, che desideravo soltanto cancellare. Però era inutile, dato che ero abituato, ormai da tanti anni, a vivere da solo; senza un compagno con cui discutere o una guida da seguire, "parlare" con me stesso era l'unico modo di far scorrere il tempo. Ma ora, forse, quel mio stile di vita era finito; non sapevo ancora dirlo con certezza, dato che ormai erano due settimane che passavo nell'Accademia e non avevo ancora legato con nessuno...
    Notai che la campanella stava per scoccare; a momenti il professore avrebbe ritirato i compiti, e ormai quel che avevo scritto restava. Girai il foglio, in modo da non avere ripensamenti, e aspettai pazientemente che il professore si riscuotesse dalla lettura, e passasse a riprendersi i fogli. Nel mentre, io osservavo il resto della classe; c'era gente come me, che aveva deciso che dell'esito del compito gli importava assai poco, e gente che invece era proprio nel pallone. Chi scriveva, chi pregava all'orologio di ritardare ancora un po', chi letteralmente si metteva le mani nei capelli e invocava l'aiuto degli dei. Si, il professore poteva avere un modo strano di spiegare: ma era evidente che quella gente non aveva aperto libro, e anche se non sapevo niente di loro, da come avevano reagito alla vista del compito, quello non era il primo test a sorpresa che quell'uomo faceva... - Buono a sapersi, pensai, con un po' di scoraggiamento, mentre passavo il foglio al professore affinchè lo prendesse meglio, - vorrà dire che dovrò prepararmi a ogni lezione... -. Mi voltai leggermente verso Sibilla, forse per ridarle la penna, forse perchè volevo vedere i suoi particolari occhi ancora una volta; la mia mente era tornata alla pietra che costudivo in camera mia, e ancora una volta mi chiesi se fosse una coincidenza o meno. Notai che la ragazza mi rivolgeva un flebile sorriso riconoscente; mi chiesi per cosa, dato che ero io a doverla ringraziare per la penna, e mi resi conto che probabilmente quando avevo lasciato il foglio un po' più alla mia destra, la ragazza ne aveva usufruito. Avevo fatto quel gesto quasi senza accorgermene; ma mi dissi che era un modo per ringranziarla della penna, e le sorrisi di rimando. Due rintocchi di campana annunciarono la fine della lezione; mi resi conto che era passata fin troppo in fretta, e che avrei voluto che continuasse ancora. Ma il professore battè le mani un'altra volta, con la solita aria allegra; mi chiesi cosa avesse tanto da ridere, e dopo che l'uomo tornò in sè, ci spiegò che cosa era successo. - Ah, si! Mi ero dimenticato di dirvelo! Ho intenzione di correggere i vostri compiti adesso, quindi non spiegherò null'altro di nuovo per oggi. - spiegò, compattando il fascio di compiti e sedendosi alla cattedra. - Però, quando avrò finito, vi chiamerò per farvi sapere il risultato, e ci sta che possa farvi qualche domanda per alzare il voto, se siete andati male... Quindi vi proporrei di ripassare. - disse poi, sedendosi e stiracchiandosi. Poi dalla borsa prese una confezione di biscotti, e cominciando a correggere il primo compito, all'interno della classe cominciarono a sentirsi le voci prima più deboli dei compagni che conversavano, poi sempre più forti. Non c'era esattamente confusione: eppure, essendo abituato al silenzio che di solito mi accompagnava, quel brusio insistente mi pareva un baccano insopportabile. Tornai a fissare la penna-rosa; minimamente preoccupato dalle parole del professore: ero sicuro di averlo fatto bene, e sicuramente non avrei avuto bisogno di "rimediare" sul momento con qualche domanda. In realtà, non ero sicuro di avere entrambi i libri di testo che prevedeva strategia; quindi, era meglio non rischiare di dover chiedere anche il libro a Sibilla, quando già l'avevo disturbata per la penna. Mi rigirai la penna tra le dita, quando mi ricordai che dovevo renderla alla mia compagna; ormai non ne avevo più bisogno, e alla fine dell'ora sarei potuto sgattaiolare in camera mia e prendere quella che avevo dimenticato quella mattina. - Ti dispiace se la tengo fino all'ora di pranzo? Te la posso ridare dopo in Mensa, se non ti dispiace... - fu invece ciò che dissi; e non ne sapevo neanche il perchè.

     
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    Mentre il professore si aggirava per i banchi a recuperare i fogli mi chinai sul banco a rileggere freneticamente quello che avevo scritto.
    Ad occhi esterni potevo sembrare una che stava controllando il compito per vedere eventuali strafalcioni e correggere errori all'ultimo minuto.
    Quando avvertii la presenza del docente alle mie spalle, mi riappoggiai alla sedia sospirando.
    Non potevo farci niente, non avevo mai studiato strategia e quella era la mia prima lezione in assoluto.
    Prima lezione e primo compito in classe...
    (La mia solita fortuna...)
    pensai sbirciando il ragazzo al mio fianco da cui avevo copiato il compito.
    Non lo conoscevo, era la prima volta che lo vedevo, poteva anche essere ancor meno ferrato di me in strategia... eppure avevo copiato, senza pensarci prima, da lui!
    Spostai lo sguardo sul professore che stava tornando alla cattedra e poi di nuovo al mio compagno di banco
    (No...)
    chissà perché ma ero convinta che invece era molto preparato in materia.
    Uno sguardo all'orologio e trattenni il fiato contando mentalmente i secondi, fino a quando la campanella suonò.
    Tirai un sospiro di sollievo mentre attendevo il commiato del professore che però non venne, anzi...
    «Come...»
    mormorai mentre mi lasciavo andare sulla sedia.
    Non solo avevo appena fatto, cioè copiato, un compito in una materia che non avevo mai studiato in vita mia; ma adesso correvo il rischio di essere anche interrogata per alzare il voto se il compito non era andato bene.
    Guardai di nuovo il ragazzo, sembrava tranquillo e sicuro di se... rimaneva da vedere se elaborando i concetti io non avessi travisato quanto da lui scritto finendo per scrivere delle cavolate solenni.
    La voce che giunse dalla mia destra mi riportò alla realtà
    «Eh?»
    chiesi sbattendo gli occhi cercando di capire a cosa si riferiva.
    Abbassai llo sguardo w notai la penna con la rosa tra le mani del ragazzo
    «Si...
    Certo...»

    chissà poi perché avevo detto di si?
    Significa doverlo rivedere, dover mangiare con lui....
    Forse l'avevo fatto perché...
    «Non so niente di strategia...»
    dissi sottovoce, chinandomi leggermente, per farmi sentire solo da lui
    «Ti prego aiutami...»
    dissi aprendo il libro e spingendolo verso la mano del ragazzo.



    Edited by .:Kym:. - 26/5/2014, 18:17
     
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    Osservavo la ragazza, in attesa di una risposta, ma la mia compagna sembrava essere persa in altri pensieri: forse era preoccupata per il compito imminente, forse per le interrogazioni, che il professore aveva già cominciato a effettuare, chiamando gli studenti in ordine alfabetico. - Ma che fortuna, sono proprio tra i primi dell'elenco... - pensai sarcasticamente, mentre gli studenti rispondevano alle domande del professore o facevano scena muta. In realtà cercavo di ascoltarli soltanto per non rischiare di addormentarmi dalla stanchezza: il brusio di sottofondo mi faceva girare il capo, e se la lezione non finiva in fretta, prima o poi sarei crollato sul banco. Però, nonostante tutto, riuscii a capire che le domande che il professore rivolgeva erano sempre le stesse: bastò origliare per qualche secondo dal compagno davanti a me per averne la certezza. Così presi carta e penna, cominciando a scrivere le domande e a stilare una risposta per esse: "Soffocamento di una ritirata efficace", "Elenca almeno due luoghi nei quali i danni riportati vengono dimezzati dall'ambiente circostante". Quelle erano le domande: adesso mancavano soltanto le risposte. Trattenni a stento uno sbadiglio, e comicniai a scrivere le risposte: le sapevo già, ma senza prima aver stilato un discorso scritto mi sarebbero mancate le parole al momento dell'interrogazione, e forse era meglio darsi da fare. - Certo che quest'ora è più sonnolenta dei filtri sonniferi della Pytonia... - realizzai, mentre stiracchiavo le braccia e posavo nuovamente lo sguardo su Sibilla, che sembrava essersi resa conto della mia domanda. «Si... Certo...» rispose la ragazza, ma notai che era ancora preoccupata per qualcosa: che fosse davvero il compito di poco prima? Avrei avuto intenzione di chiederle se si sentiva bene, ma la ragazza mi anticipò. «Non so niente di strategia...» disse, abbassando un po' la voce, come se volesse che la sentissi solo io, «Ti prego aiutami...». Rimasi un po' spiazzato da quelle parole; forse per lei era la prima lezione, e sicuramente non era partita nel modo migliore. Io avevo già avuto a che fare con il professore di Strategia dell'Accademia; ma per fortuna, quella mattina non vi era stato nessun compito a sorpresa o interrogazione di recupero. Però, sembrava stesse dicendo il vero: aprì persino il suo libro di testo e lo spinse verso di me, come a dimostrare che aveva realmente bisogno d'aiuto. Io, dal canto mio, non sapevo cosa fare: non sentivo di essere così bravo da poter dare ripetizioni a qualcuno, e soprattutto, era molto tempo che non parlavo con qualcuno della mia stessa età. - Va bene... dissi, mettendo il libro in mezzo al banco e spostando la sedia più vicina alla sua, in modo da poter leggere il testo insieme. - Però non so spiegarmi molto bene... Spero vada bene lo stesso. -.
    - Anche se non andasse bene cosa dovrebbe fare, idiota? Sei l'unico a cui può chiedere aiuto, in questo momento. - mi disse una voce nella mia testa, che contribuì, insieme alla vicinanza con Sibilla, a farmi provare una punta di imbarazzo. - Queste sono le domande che farà oggi... Dato che non abbiamo molto tempo, e tra poco sarà il mio turno, dovrò saltare le basi e rimandare a un'altra volta. Però queste basteranno di sicuro a farti passare l'esame di oggi. - dissi, prendendo il foglietto su cui stavo scribacchiando poco prima e mettendolo sotto il naso della ragazza. La mia calligrafia mi sembrò addirittura più precisa del normale; forse era il frutto dell'educazione che avevo ricevuto a palazzo, ma in quel momento, la trovavo quasi imbarazzante. Indicai la prima domanda, cercando di sviare l'attenzione dal mio modo di scrivere. - Partiamo con questa. Innanzitutto, partiamo descrivendo una ritirata strategica: quello è il momento in cui una delle due parti degli eserciti che si fronteggiano cade, e si divide in ritirata ordinata e precipitosa. La ritirata precipitosa causa molti più caduti di una ordinata. - dissi, mentre rivedevo i guerrieri che cadevano, uno dopo l'altro, sotto la morsa dell'esercito di mio padre. Non serviva a niente fuggire: tutti facevano la solita fine. - Perchè? Perchè dobbiamo combatterci e morire per qualcosa che non vogliamo? - mi ero chiesto più volte, ma a quella domanda, non avevo mai trovato risposta. - Dopo che la struttura di un esercito viene frantumata - ovvero quando i guerrieri non possono più seguire l'ordine del comandante - l'esercito diventa vulnerabile di fronte al nemico, ed è allora che subisce le perdite peggiori. Quando un esercito comincia a ritirarsi, la cavalleria che faceva parte della retroguardia viene mandata a finire il nemico, mentre la fanteria continua a proseguire l'attacco. Non serve che ricordi tutto, il succo del discorso sono soltanto queste righe.. spiegai, per poi fissare Sibilla, cercando di capire dalla sua espressione se avesse capito cosa avevo appena detto oppure no. Quasi invidiai il fatto che non sapesse destreggiarsi nella strategia... io lo avevo dovuto imparare nel modo peggiore: combattendo. - Nonostante dovesse essere la mia materia preferita... Io odio la strategia. O meglio, odio il meccanismo che ne è alla base... Tutte queste tattiche, questi accorgimenti in vista del "nemico"... Servono solo a spezzre delle vite umani, e insieme a quelle, anche la felicità dei cari di chi combatte... Non riesco a capirne il perchè. - mormorai, quasi più rivolto a me stesso che alla ragazza. Quando mi resi conto di ciò che avevo appena detto, però, l'accenno di imbarazzo che provavo poco prima tornò a farsi sentire, e cercai di riediare al mio discorso senza senso, che però rivelava una parte di me stesso: in fondo, era ciò che avevo sempre pensato... Ma non mi ero confidato con anima viva. - Scusa... Probabilmente dormo ancora... - dissi, sorridendo e cercando di buttarla sul leggero. Mi passai una mano tra i capelli, cercando di domare i ciuffi ribelli: poi mi chinai nuovamente sul foglio, leggendo la domanda dopo. - Questa invece è piuttosto semplice. I luoghi che offrono riparo dai nemici sono fortezze e zone alberate. Partiamo da quest'ultime: i rami e le fronde degli alberi offrono ripari da attacchi di spada, e, spesso anche da magie, poichè confondono il nemico. Certo, è svantaggioso anche per chi si rifugia tra gli alberi, ma se non si combatte, sono un ottimo rifugio. E quando il nemico si sarà stancato a sufficienza, quello è il momento di attaccare. Le altre sono le fortezze: qui basta ripararsi all'interno delle loro mura per essere protetti, e non c'è bisogno di particolari spiegazioni. Molte, con il tempo, sono state ristrutturate e aggiunte di trappole e trabochetti, fatali sia quanto per chi vi si nasconde che per il suo aggressore. In sostanza, sono dei posti sicuri solo per chi li sa sfruttare. - dissi, per poi fissare Sibilla con un sorriso incerto. - Spero di averti aiutta... Se non hai capito qualcosa dì pur... -.
    - Akyndimos! Interrogato! - la voce del professore interruppe la mia frase, e con un sospiro di scoraggiamento, mi alzai dal posto, rivolgendo un'ultima occhiata a Sibilla e attraversando l'aula, per poi dirigermi verso la cattedra del professore e prendere il foglio che mi porgeva. Come avevo intuito, non avevo sbagliato poi molto; ma alcuni fregi rossi dicevano che molti discorsi sarebbero stati meglio strutturati in un altro modo, anche se la risposta era giusta. - Strana rielabolarazione dei dati, signor Akyndimos... Sembra quasi, dalla prosa e dalla stesura del testo, che abbiate voluto raccontare un'esperienza personale... Ma non è questo il punto! Sono indeciso tra A e B per voi, signor Akyndimos. Quindi, saprete spiegarmi la corretta soppressione di una ritirata ordinata? - disse il professore, mentre si riprendeva il foglio e mi fissava con sguardo inquisitorio, mentre raccoglievo le idee e cominciavo a rispondere alla domanda.

     
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    Chiedere aiuto ad un perfetto sconosciuto...
    Cosa mi era preso? Non avevo mai agito così d'impulso in tutta la mia vita!
    Mi ero già trovata in difficoltà più di una volta a scuola, ma non avevo mai chiesto l'aiuto di nessuno.
    Libro alla mano cercavo di cavarmela da sola, andavo in biblioteca per approfondire o cercare di trovare un libro che spiegava in maniera più chiara o semplice, al massimo quando proprio mi trovavo in difficoltà chiedevo gli appunti a qualche compagno ed in casi estremi una veloce ripetizione dal professore interessato.
    E allora cosa mi era preso?
    Avevo buona memoria e mi ricordavo abbastanza bene quello che avevo scritto.
    Avevo dovuto rielaborarlo e, unito al fatto che, ripetevo sempre mentalmente quello che scrivevo me lo ricordavo per abbastanza tempo da superare indenne un'interrogazione a sorpresa.
    Già l'interrogazione... come si sarebbe svolta?
    Ad ognuno domande differenti o tutti con gli stessi quesiti?
    Beh, sarebbe stato un controsenso la seconda ipotesi, ma forse voleva vedere come esponevamo le idee... e accertarsi che non avevamo copiato!
    E allora perché?
    Forse la materia completamente nuova e che già mi pareva ostica fin dalla prima lezione?
    Fatto sta che avevo chiesto aiuto al mio silenzioso compagno di banco.
    Se la cosa aveva sorpreso me figuriamoci lui, mi guardò con un'espressione tra il dubbioso e il perplesso e passarono alcuni secondi prima che mi rispondesse in maniera positiva avvicinando di più la sua sedia alla mia.
    Si scusò per non sapere spiegare bene e preso il foglio su cui stava scrivendo lo mise sul banco un p' più verso la mia parte.
    Annuii e sottovoce lo ringraziai mentre rimanevo piacevolmente stupita dalla calligrafia elegante ed ordinata del ragazzo.
    Cercai di concentrarmi su quanto mi stava dicendo, prendendo qualche appunto qua e la ma mi veniva difficile concentrarmi.
    Il ragazzo spiegava bene, nonostante quello che aveva detto, e con parole piuttosto semplici e comprensibili anche ad una neofita come me...
    ma nonostante tutto non riuscivo a concentrarmi...
    (Ma cosa mi è saltato in mente...)
    pensai mentre mi trattenevo dallo scostare la sedia per non sembrare maleducata.
    Buttai un occhio alle due sedie che a dire il vero erano ancora separate, se lo spazio sembrava essersi ristretto all'improvviso era per via del fisico del ragazzo.
    Mi voltai leggermente verso di lui e per la prima volta notai il colore così particolare dei suoi occhi.
    Distolsi velocemente lo sguardo arrossendo lievemente, mentre scuotevo la testa per ritornare al presente aiutata dall'ultima frase del ragazzo.
    Mentre la pronunciava sembrava così convinto e così triste che mi venne spontaneo appoggiare una mia mano sulla sua.
    «Scusa...»
    mormorai ritirandola di scatto come se mi fossi scottata.
    Il ragazzo terminò la spiegazione chiedendomi se era stato d'aiuto
    (E adesso che gli dico?)
    pensai cercando una possibile risposta
    Non ho ascoltato niente perché non sono abituata a stare così vicino ad un ragazzo? improponibile Mi sono incantata a fissare i tuoi occhi? men che meno.
    Per fortuna ci pensò il professore a togliermi d'impaccio chiamando interrogato proprio il mio compagno di banco.
    Con un sospiro di sollievo mi riappoggiai alla sedia cercando di prestare attenzione alla sua e alle interrogazioni seguenti, le segui con lo sguardo fisso alla lavagna posta alle spalle del professore.
    Troppo imbarazzata per voltarmi verso di lui, le guance ancora lievemente arrossate.
    «Proseguiamo con...»
    lo vidi leggere sul registro e temetti stesse per pronunciare il mio nome
    «Kan... Kanakis...»
    il suono della campanella risuonò nell'aria proprio in quel momento
    «Per fortuna...»
    mormorai appoggiandomi di nuovo alla sedia

     
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    La mia interrogazione era andata piuttosto bene: incespicai un po' con le parole, come mio solito, ma quella volta c'era qualcosa che non andava... Non facevo altro che pensare alla situazione di poco prima, quando mi ero trovato così vicino a Sibilla. Si, era stata una mia iniziativa... Ma era comunque la prima volta che mi trovavo così vicino a una ragazza, e anche se non si vedeva, mi imbarazzavo piuttosto facilmente. Ancora in quel momento, riuscivo a sentire il tepore della mano di Sibilla sulla mia, gesto che probabilmente aveva fatto per confortarmi, anche se più che altro aveva messo in imbarazzo sia me che lei. Anche mentre parlavo, e mantenevo un'espressione calma, sentivo comunque una strana mescolanza di emozioni dentro di me... Non ero abituato a provare tutte quelle emozioni tutte insieme; ero sempre stato un tipo solitario, e non avevo avuto molte occasioni per confrontarmi con qualcun altro; in effetti, era così tanto tempo che non mi abbandonavo alle emozioni, che avevo quasi dimenticato cosa fossero. Riscoprire una cosa come l'imbarazzo o la felicità, in una situazione ordinaria come quella, era quasi strano, per me. - Bene, Akyndimos! Il compito è superato a pieni voti, può tornare al suo posto. - disse il professore, raccogliendo i fogli su cui si era appoggiato mentre mi ascoltava durante l'interrogazione. Era stata così facile e così veloce, che quasi non me ne ero accorto. Chinai lievemente la testa, per poi tornare all'ultima fila, verso il mio banco; il mio modo di camminare era decisamente troppo militaresco e i miei modi di fare troppo rigidi... Possibile che non me ne fossi mai accorto prima? - Ma perchè diamine penso a cose del genere? - pensai, mentre sentivo le orecchie farsi rosse: il mio modo di arrossire era particolare, e prima che si vedesse il rossore sul viso, solitamente mi si coloravano le orecchie. Era una fortuna che avessi i capelli abbastanza lunghi da riuscire a nasconderle. Sedendomi, gettai un'occhiata a Sibilla: ma la ragazza sembrava avere attenzione soltanto per le interrogazioni che la precedevano. Era normale, dato che Strategia sembrava essere una materia decisamente ostica per la ragazza: così presi a fissare le interrogazioni anche io, sgranocchiando di tanto in tanto i cracker che mi aveva donato la ragazza quasi un'ora addietro. - Non siamo neanche a metà mattina, ma questa giornata è stata decisamente pesante... - pensai, chiedendomi se al professore mancasse qualche rotella o meno. Ne avevo incontrata di gente strana, ma quell'uomo sembrava superare tutti gli altri. Improvvisamente, la campanella suonò mentre il professore stava leggendo l'ennesimo nomwe sul registro; poi sentii Sibilla appoggiarsi alla sedia, improvvisamente più calma, e capii che aveva evitato l'interrogazione per un soffio. Rimasi un po' a fissarla, e quando me ne accorsi, distolsi bruscamente lo sguardo, recuperando l'astuccio e il quaderno che avevo lasciato sul tavolo e infilandoli nella borsa in cui riponevo le materie per il giorno. Poi mi alzai, rendendomi conto che gran parte degli altri studenti se ne erano già andati: eravamo rimasti pochi ritardatari ormai. La lezione era finita, e in base alla classe a cui ogni studente apparteneva, tutti avevano i propri corsi da seguire. - Beh... Allora ciao. - dissi a Sibilla, gettandomi la borsa a tracolla e sorridendo a Sibilla. - Quindi ci vediamo dopo in Mensa? - le chiesi poi, sistemando la sedia dove ero stato seduto durante la lezione e dirigendomi verso l'uscita, aspettando però una risposta da parte della ragazza. Non c'era più tempo, però: se non volevo dare una brutta impressione al professore di turno, dovevo muovermi a trovare la prossima aula. - Terzo tavolo in fondo, quello vicino alle finestre con la visuale sul Giardino. - dissi poi, rivolgendo uno sguardo di congedo alla ragazza e uscendo dall'aula. - Dei, suonava proprio come un appuntamento... - pensai, rendendomi conto - troppo tardi, ovviamente -, delle mie parole.



    Per me possiamo anche chiudere qui xD Quando vuoi possiamo pure cominciare una seconda ruolata in Mensa, così ruoliamo un altro po' ^W^ Comunque se vuoi fare un ultimo post per rispondere fa pure, sennò per me possiamo anche considerarla chiusa xD


    Edited by «Anhÿlia; - 3/6/2014, 23:19
     
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    Sibilla KanakisRazza: Fata Classe: Maga Elementale
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    Il tempo sembrava essersi fermato e le interrogazioni essere troppo corte, sopratutto quella del mio compagno di banco che tornò al suo posto prima che io potessi riprendere il mio colore naturale e superare l'imbarazzo per quello che era successo pochi minuti prima.
    Cercai di concentrarmi sulle interrogazioni seguenti, avevo sempre avuto un'ottima memoria e se mi concentravo ero sicura di riuscire a passare indenne l'interrogazione... il problema era concentrarsi!
    Il suono stridulo della campanella non mi sembrò mai così bello e armonioso. Lo accolsi con un lungo sospiro di sollievo che sperai passasse inosservato.
    Aspettai qualche secondo e quando mi accorsi che gli altri ragazzi presenti a lezione stavano scemando verso la porta e anche il professore stava radunando le sue cose, feci anch'io lo stesso mettendo penna e calamaio nell'astuccio che infilai nella borsa con il libro.
    Ebbi l'impressione di essere osservata, mi voltai accorgendomi così che il mio vicino di banco dal nome complicato mi stava osservando
    «Salva per un pelo...»
    dissi come per giustificare il mio sollievo al ragazzo che, nel frattempo, si era già voltato dall'altra parte.
    Quando mi salutò risposi non sapendo se sentirmi sollevata o delusa per il fatto che non avesse rinnovato l'invito a vedersi più tardi in mensa.
    Lui sembrò quasi leggermi nel pensiero perché prima di allontanarsi mi disse esattamente anche il tavolo in cui avremmo dovuto incontrarci.
    Rimasi a fissarlo per qualche secondo prima di limitarmi ad un cenno del capo seguito da un lieve sorriso.
    Lo lasciai uscire prima di raccogliere le mie cose e lasciare a mia volta l'aula.
    Per mia fortuna la prossima lezione era una di quelle riservate ai maghi elementali, qualcosa mi diceva che il ragazzo dagli occhi color acquamarina non ci sarebbe stato.
    Concentrarmi su qualcosa di più affine a me mi avrebbe aiutato a calmarmi un po'.

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