Stanza 101, Anhylia Nogare

Dormitorio Femminile

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    Anhylia Nogare
    Classe: Spadaccina Razza: Umana Numero Stanza: 101 Fama: 0

    Ruolata
    Arrivai finalmente nel Giardino dell'Accademia: non avevo mai visto niente di più spettacolare. Una fontana dalle ricche e elaborate decorazioni occupava gran parte di quel luogo; l'acqua ricadeva da una bocca di pietra, modellata in modo che raffigurasse una brocca. Decorazioni d'erba, aiuole piene di fiori e piccoli alberi da frutto rendevano quel posto quasi surreale. Abituata com'ero ai grigi luoghi del convento, rimasi affascinata dalla bellezza di quel luogo. - E se soltanto il giardino è così -, mi dissi, mentre fissavo i bordi di una panchina a qualche metro di distanza da me, - Non oso immaginare come sarà il resto dell'Accademia. -.
    Ero rimasta così colpita da quel luogo, che mi accorsi a fatica della vecchina che, da dietro un'alta scrivania probabilmente piazzata lì per l'occasione, indicava agli studenti dove si dovevano dirigere e assegnava loro una stanza. Soltanto uno strattone di Selene, che mi tirava la manica per farmi camminare, riportò la mia attenzione alla normalità; Zalya aveva già ricevuto la sua chiave, e in quel momento stava cercando di vedere se qualcun altro avesse avuto una stanza nella sua stessa sala, la Sala Ametista: infatti, la maga riusciva a perdersi con un nonnulla, e già più volte avevamo avuto prova di questa sua caratteristica. Dopo Zalya fu il turno di uno studente piuttosto bassino, con una lunga spada appesa al fianco. La vecchina borbottò un nome seguito da "Spadaccino", indicando poi a quel ragazzo la direzione opposta a quella presa da Zalya. Rabbrividii. Anche io avrei dovuto essere smistata in quella che chiamavano "Sala Rubino", mentre Selene e Zalya avrebbero preso due direzioni differenti dalla mia? Non volevo. Non che mi dispiacesse stare da sola... Ma senza Zalya e Selene al mio fianco, mi sentivo persa; improvvisamente, l'Accademia mi sembrò un luogo estremamente ostile, e l'unica cosa che avrei voluto fare, sarebbe stata andarmene. - ... Per andare dove? - mi chiesi, puntando lo sguardo a terra per impedire alle lacrime di uscire. Non avevo un posto che potessi chiamare casa; non lo avevo forse mai avuto. L'unica cosa che si avvicinasse a una famiglia, era l'affetto che provavo per le due maghe: non volevo essere separata da loro... Ma non c'era altra scelta: e in fondo, mi ci sarei dovuta abituare, dato che sicuramente avremmo avuto lezioni differenti. Eppure, non riuscivo ancora a farmene una ragione; fissai con aria inespressiva Selene, mentre riceveva la sua chiave e si allontanava verso Zalya, rivolgendomi un sorriso incoraggiante. - Potrei dire di essere una maga anche io... - valutai, scartando subito quell'idea; la vecchietta sapeva la classe di ogni studente. - E allora... Potrei... Potrei... - ragionai mentre con lo sguardo mi guardavo intorno; cos'altro potevo fare? Sentii il suono di un quaderno sbattuto su una superificie dura, e poi la voce della vecchina: - SILENZIO! - ordinò. Si schiarì la voce con un colpo di tosse, per poi leggere il nome che seguiva sulla lista; non lo capii nè la prima volta, nè quando la donna la ripetè. Improvvisamente, sembrai riprendermi, e a quel punto riuscii a capire il nome che la vecchietta stava chiamando; era il mio. Mi avvicinai con sguardo spento, fissando la donna con aria diffidente. Mi borbottò il numero della mia stanza, la 101, e mi indicò una porta a destra, che conduceva alla Sala Rubino. - Tutto dritto fino alle scale che portano al piano superiore, e poi gira a sinistra. Non ti puoi sbagliare. - disse con aria annoiata, segnando con una spunta il mio nome. All'improvviso, guardai la donna con sguardo supplichevole, come a cercare le parole adatte. Aprii la bocca più volta per parlare, ma non riuscii a dire niente. Deglutii a vuoto e mi decisi a parlare -Madame.. N... Non è che c’è un posto libero nella Sala Ametista?- chiesi, a voce bassa per non farmi sentire. L'espressione della donna mutò prima da stupore, poi a una muta rabbia e infine in orrore. Dopo una specie di singhiozzo, mi guardò come se avessi appena distrutto qualcosa. - Inammissibile! Magia e Spada sono due cose completamente diverse, pertanto nessuna spadaccina troverà mai un posto nella Sala Ametista, ragazzina! Ahh i giovani d’oggi, che sfrontati! - disse. Abbassai la testa, allontanandomi con gli occhi gonfi di lacrime, pronta a dirigermi verso la mia stanza; le risatine delle altre ragazze mi giungevano alle orecchie come mille coltelli, e rivolsi a Zalya e Selene soltanto un ultimo saluto, prima di sparire dietro la porta che portava alla Sala Rubino. Salii le scale senza guardarmi attorno, con gli occhi fissi sul terreno; non riuscivo a guardare niente. Urtai un ragazzo dai capelli azzurri e un cerchietto in testa, ma non ci feci troppo caso; volevo solo arrivare alla mia stanza il prima possibile. Salii le scale, ritrovandomi in una sala circolare, ampia e vasta; delle poltroncine erano disposte attorno al camino, da cui proveniva un allegro fuocherello scoppiettante, e due corridoi separato portavano rispettivamente ai dormitori maschili e femminili. Presi quello di sinistra, ritrovandomi in un piccola stanza, da cui partivano altri tre corridoi pieni di porte su entrambi i lati; quell'Accademia era veramente vasta. Ogni corridoio aveva un numero inciso sul muro; 100, 200 e trecento. Presi quello che recava la scritta 100: la mia stanza era la prima, e se non fosse stato per la chiave che aveva il numero della stanza assegnatomi, me lo sarei già scordato. Infilai la stanza nella serratura, aprendola a fatica; la chiave era vecchia e la porta andava oleata. Si aprì con un cigolio, ma nonostante tutto, i mobili dentro la stanza sembravano come nuovi; un getto di vento mi accolse non appena misi piede nella stanza, e capii che proveniva dalla finestra, lasciata aperta. La stanza era un piccolo pezzo rettangolare: il letto era situato di traverso proprio sotto la finestra, l'armadio in legno scuro era poggiato sul muro opposto; una scrivania troneggiava incassata in un angolo della stanza, con uno sgabello dove sedersi e dei cassetti per riponerci qualche piccolo oggetto. Un comò con tre cassetti era accanto al letto, con una piccola candela e un acciarino poggiati sopra. Chiusi la porta dietro di me, e mi sedetti sul letto, osservando le mura; di un rosso smorto (in fondo era una camera), erano spoglie e prive di ornamenti. Aprii la valigia di pelle che mi ero portata dietro: oltre a un cambio di vestiti e al fodero della mia Arivind, non c'era altro... Eccetto i vecchi e impolverati volumi che mi ero portata dietro. Feci per allacciare Arivind al fianco; ultimo dono di mia sorella, tenevo a quella spada quasi più della mia stessa vita. Mi dissi che probabilmente non avrei fatto altro che attirare l'attenzione portandomi in giro l'arma; allora la misi, insieme alla cintura che sosteneva il fodero, sotto il letto, così da poterla afferrare rapidamente in caso di necessità. Improvvisamente sentii un gran freddo; ormai il peso di Arivind era così familiare che senza ero sicura che sarei stata indifesa, senza nessuna protezione. Riposi i pochi vestiti che avevo nell'armadio, e sistemai la scatola con i cosmetici che mi ero portata dietro; regali di mia sorella, dato che io non avevo interesse per queste cose. Poi, mi dedicai a ordinare i libri per titoli; molti di essi erano stati sottratti alla biblioteca del convento. Li avevo letti e riletti tutti più volte; eppure, non mi stancavo mai di immergermi nella lettura. Ne portavo sempre almeno uno con me; nonostante fossero soltanto parole inchiostrate su dei pezzi di carta messi assieme, quei libri erano tutto ciò che mi legavano al passato. Riuscivo, grazie al loro intervento, a dimenticarmi per un po' della mia situazioni; erano un balsamo per il dolore che a volte emergeva in modo fin troppo evidente. Li disposi sulla scrivania: occupavano gran parte del tavolo, ma non m'importava. Chiusi la finestra: cominciava a fare fin troppo freddo. Notai che l'anta di quella finestra aveva una maniglia anche fuori; probabilmente quella era una stanza antica, dato che finestre così non se ne producevano più. Guardai l'orologio appeso alla parete, unica decorazione in quella monotonia; mancavano dieci minuti all'inizio delle lezioni. Sistemai meglio la coroncina sulla testa, rivolsi un ultimo sguardo a Arivind e uscii dalla stanza, richiudendo la porta a chiave e ponendo ques'ultima in una piega della gonna.



    Edited by «Anhÿlia; - 23/1/2014, 16:19
     
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