Stanza 112, Brisingr Akindymos

Dormitorio Maschile

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    Brisingr Akindymos
    Classe: GuerrieroRazza: Mãnaceo/Umano Numero Stanza: 112 Fama: 0

    Ruolata
    Finalmente, l'Accademia si stagliò di fronte a me. Avvolto nel mantello nero, con il freddo che mi pungeva la pelle nonostante gli abiti pesanti, mi accinsi ad entrare in quel luogo maestoso, che però aveva qualcosa che non mi convinceva: era troppo simile al castello Pleyano, forse per via di tutte le torri e le guglie che la componevano. Riuscii subito a individuare quella che era la parte principale dell'Accademia: quindi, percorsi velocemente la vasta arcata che mi separava dall'edificio, notando, infastidito, che le poche persone presenti si erano voltate a guardarmi. In fondo, arrivavo in un periodo dove le lezioni erano cominciate da un pezzo, e tutti avevano ormai superato la loro prova di smistamento: per fortuna però i professori non erano stati particolarmente curiosi di sapere come e perchè mi fossi presentato tanto in ritardo; anzi, sembrarono quasi felici di avere qualche studente in più. Mi chiedevo il perchè, ma non permettevo alla mia mente di vagare troppo su quegli argomenti: se loro non avevano fatto domande su di me, io non ne avrei fatte su di loro. Respirai a fondo l'aria che mi entrava nelle ossa: il portone, spalancato si trovava ormai davanti a me, e bastava così poco... Così poco per fuggire dal mio passato. L'avevo già fatto: avevo lasciato tutto come un codardo, vagando per le terre di Evesaje per tre lunghissimi anni, cercando di dimenticare ciò che avevo fatto. Ma non potevo: non potevo dimenticare, quando, anche se contro la mia volontà, mi ero macchiato del sangue degli innocenti. Avevo provato più volte a riscattare quelle vite con la mia: ma non avrebbe avuto senso morire, quando sarebbe stato meglio combattere contro la mia stessa famiglia per "saldare" i conti. Ma perchè non lo facevo? Non avevo paura di combattere: con il dono, o meglio, la disgrazia con cui ero nato, potevo liberarmi facilmente di quei buoni a nulla dei reali che adesso infangavano la mia terra. Ma non ci riuscivo: nonostante avessero ucciso mia madre, e avessero provato a condannarmi a un destino di guerre, non riuscivo neanche ad alzare un dito su di loro. Ma perchè? Avevo avuto modo di rifletterci: in fondo, anche per uno come me sarebbe stata soltanto una missione suicida... Ma il vero motivo era un altro. In fondo, loro erano l'unica famiglia che mi era rimasta: che io lo volessi o no, ormai volevo loro bene, e l'unico con cui avrei dovuto rivoltarmi era mio padre: ma lui era già nella tomba, e non potevo fare altro. - Devo soltanto dimenticare questa storia e cominciare una nuova vita... - mi dissi, ma sapevo che non potevo. In sogno rivedevo i visi dei soldati che avevo ucciso, le persone a cui avevo tolto la vita: tutte chiedevano una sola cosa, chiedevano che il loro sangue fosse ripagato versandone dell'altro. Il mio. - Hey tu, per quanto ancora hai intenzione di restartene li' a far niente!? -. Una voce rauca mi distolse dai miei fantasmi: una vecchietta dall'altro della stanza che accoglieva gli studenti, non appena superata la soglia, mi guardava con aria truce. Sospirai, come seccato di essere stato interrotto: ma in fondo ero anche contento di quella situazione. Nessuno mi rivolgeva più la parola da anni; avevo persino dimenticato come si faceva a parlare. Infatti, quando aprii la bocca per scusarmi, notai che le parole uscivano a forza, quasi come se non avessi mai imparato a parlare. La voce era roca, come se avessi avuto bisogno di bere: e forse mi avrebbe fatto bene, dato che era tanto che non parlavo con nessuno. Certo, i primi tempi mi mettevo a parlare da solo: mi faceva sentire un po'più sicuro, ma col tempo anche quella necessità era sparita. Mi compiacqui della mia voce: sembrava minacciosa, da selvaggio, e forse avrebbe contribuito a tenere alla larga studenti curiosi. Sapevo che la mia fama di drago aveva preceduto i miei natali: per questo andavo sempre in giro con un mantello nero e un cappuccio calato sul viso, per non farmi riconoscere. Ma in quel momento, a parte la vecchietta, non c'era nessuno, e decisi che avrei anche potuto azzardarmi a mostrare il mio volto. - Mi scusi madame... La maestosità di questo luogo mi aveva incantato. - dissi soltanto, in tono quasi sorpreso: era vero, l'Accademia era un posto bellissimo, e decorato in una maniera molto più sfarzosa del castello Pleyano, dove le uniche decorazioni erano le armi, ma dopo i primi minuti avevo preferito rintanarmi nei miei pensieri. Entrando, mi resi conto che le decorazioni non erano messe a caso: sul soffitto era dipinta una gran parte della storia di Evesaje, anche se dubitavo che fosse quella autentica: io stesso non avevo ancora finito di decifrare il libro che raccoglieva anneddoti e leggende varie sulla vera storia di quel mondo. La segretaria si tovava in fondo alla stanza; percorsi i pochi metri che mi separavano dal bancone in fretta, senza soffermarmi troppo sull'interno dell'Accademia: riuscii soltanto a scorgere una vasta scalinata, sulla destra dell'edificio, che portava a chissà quali dormitori, mentre dalla parte opposta un'altra conduceva alle restanti stanze. Mi chiesi dove sarei dovuto andare io: avrei avuto un po' di difficoltà forse a trovare la mia stanza, ma non avrei chiesto aiuto; in fondo, anche se avessi dovuto percorrere tutta l'Accademia, prima o poi l'avrei trovata. La segretaria stava armeggiando con dei cassetti dietro di lei: controllava registri su registri, e alla fine, mi porse una chiave legata a un pezzo rettangolare di legno tramite uno spago: su questa, in graziose lettere dorate, vi era riportato il numero 112. Soppesai la chiave, ammirandola per un po'; poi però, la voce della vecchietta mi riportò alla realtà. - La vostra stanza è la numero 112 della Sala Rubino. La troverai salendo le scale a destra. Le lezioni si terranno domani alla prima ora dopo l'alba, nell'ala dedicata alle lezioni; quindi veda di essere già pronto per quell'orario e di non fare ritardi. Il regolamento è uguale per tutti, voi o qualsiasi altro principe, duca o conte non fate certo eccezione. - disse, con tono acido e annoiato: evidentemente era lì da molto tempo, e non tollerava insubordinazioni da parte di nessuno. Quella situazione, però, mi era familiare: da quando ero stato riportato con la forza al castello, avevo imparato sin da subito che cosa succede a chi non rispetta le regole, e che dovevo obbedire agli ordini che mi davano senza tentennamenti o domande superflue. - Certo, madame. - sussurrai, rivolgendo alla segretaria un veloce mezzo inchino e dirigendomi verso la scalinata di destra, portando con me la mia piccola borsa nera e stringendo la chiave nella mano sinistra. Il tragitto fu lungo, ma non avevo modo di sbagliarmi: le scalinate conducevano in un'unica direzione, e soltanto dopo un bel tratto di strada si diramavano in tre direzioni: sopra ogni portone vi era incisa una scritta, e ancora sopra, vi era incastonata una pietra, come a fugare ogni dubbio a chi cercava un dormitorio in particolare. - Perla, Ambra e Rubino... - pensai, mentre il mio sguardo scivolava sulle due pietre e si soffermava sul rubino; non c'erano dubbi, era quella la mia destinazione. - Beh, direi che sono arrivato... - osservai, chiedendomi quanti altri dormitori ci fossero: ero sicuro che si trovassero sulla scalinata di sinistra, ma non sapevo dove. Subito dopo entrata, notai che il dormitorio si articolava su tre piani: evidentemente c'erano molti, troppi studenti in quell'istituto. Non feci fatica a trovare la mia stanza: sul primo piano, contai dodici stanze e infine raggiunsi la mia. La porte in noce era ancora chiusa a chiave: evidentemente non vi era più entrato nessuno da quando gli addetti l'avevano pulita l'ultima volta, e mi dissi che sarebbe stata impolverata fino al midollo. Girai la chiave nella serratura con estrema lentezza, come se quel gesto potesse cambiarmi la vita, e quando la porta girò sui cardini, fui costretto ad ammettere di essermi sbagliato: tirata a lucido e in ordine, la mia stanza mi diede subito una sensazione di calore e sicurezza. Mossi i primi passi all'interno con circospezione, come se quello fosse tutto un sogno e avessi potuto svegliarmi da un momento all'altro. Ma la consistenza delle lenzuola era vera, i mobili erano solidi: e l'aria fresca che proveniva dalla finestra semiaperta sicuramente non poteva essere illusioria. Chiusi nuovamente la porta, senza però bloccarmici all'interno: non ne avevo motivo, e ormai, dovevo abbandonare le mie paranoie, se volevo cambiare veramente. Poi, dopo aver mollato la borsa ai piedi del letto, passai a esaminare la stanza dove mi trovavo: un piccolo letto era incassato proprio sotto la finestra, e il materasso era così morbido che non appena mi sedetti, la stanchezza di quei giorni di viaggio ininterrotto mi piombarono addosso tutti insieme. Al fianco del letto si trovava un comodino in mogano, basso e aggraziato: i piedi terminavano con un ricciolo, e il legno sembrava appena essere stato pitturato e laccato. Poi, un alto armadio, anch'esso dello stesso legno del comodino, troneggiava alla destra della porta, appoggiato alla parete: lo aprii, e notai che vi era anche uno specchio al suo interno, mentre sulla parte sinistra erano stati posizionati parecchi ripiani, alla distanza di pochi pollici l'uno dall'altro. - Probabilmente è per riporci i vestiti o altre cianfrusaglie... - ipotizzai, passando poi a esaminare la vasta scrivania che si trovava ulla parete opposta a quella dell'armadio. Il piccolo sgabello era rivestito di pelle, e quando mi ci sedetti, notai che era molto più comodo di come mi aspettassi: rimpiansi di non avere uno schienale, ma in quel momento non aveva importanza. Quel posto, nonostante non fosse maestoso come l'entrata, era comunque comodo: e dopo anni passati a dormire su un pagliericcio in una staza che assomigliava più a una cantina che a altro, e altri tre anni di vagabondaggio, finalmente potevo avere un letto vero e una stanza completamente mia. - In fondo... Non ho fatto male a iscrivermi qui. -. Mi resi conto che avrei potuto passare il resto della mia vita così, come se fossi sempre stato un ragazzo normale: ma sapevo anche che prima o poi mi sarei stancato di tutta quella situazione, e che avrei cercato un nuovo posto. - Però... Per ora va bene così. -. Passai a esaminare la scrivania: vi era una lettera da parte della preside, con poche righe scritte sul momento, giusto per darmi il benvenuto e spiegarmi come funzionavano le cose nell'Accademia: non fu però la lettera in sè a rassicurarmi, bensì la cartina dell'istituto in allegato, dove erano segnati i nomi delle aule e dei vari edifici. - Adesso non mi dovrei perdere... - mi dissi, rimettendo lettera e cartina al loro posto nella busta, e riponendo quest'ultima in un cassetto interno della scrivania. Oliai un po' la lampada appesa al soffitto, dato che ormai i raggi del sole erano tramontati: poi mi buttai sul letto, senza neanche disfare la mia roba, e mi addormentai dopo pochi minuti.



    Edited by «Anhÿlia; - 25/5/2014, 17:19
     
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